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Otto anni di intensa ed orgogliosa collaborazione nella Segreteria del Fondatore della Città dei Ragazzi di Roma
AL SERVIZIO DI MONSIGNORE !
di Claudio Di Biagio (claudio.dibiagio@aiex.it)
Era già da diverso tempo che intendevo scrivere qualcosa del genere sulla mia personale esperienza di collaborazione con Mons. G.P. Carroll-Abbing negli anni seguenti la mia uscita dalla Città dei Ragazzi di Roma. A tal proposito, non posso, però, nascondere che questa idea, se da una parte mi solleticava piacevolmente, dall'altra mi destava serie preoccupazioni. Mi domandavo, infatti: "Come posso proprio io, ed in poche righe, parlare di Monsignore? Come posso descrivere correttamente, ed in maniera inequivocabile, la figura di questo straordinario uomo del nostro tempo?". Perché è questo il punto: anche se per noi Giovanni Patrizio Carroll-Abbing, formidabile sacerdote irlandese, era e rimane semplicemente "Monsignore", non possiamo e non dobbiamo dimenticare affatto il Suo spessore e la Sua rilevanza a livello pubblico!
Questo articolo, scaturito da una lunga e profonda riflessione maturata negli ultimi due anni, vuole essere non altro che una testimonianza diretta del rapporto di collaborazione con Monsignore, senza per questo avere la presunzione di descrivere interamente ed in maniera esclusiva la figura e l'opera del nostro Fondatore. Per quanto mi sarà possibile, mi limiterò a parlare e a descrivere Monsignore, specificamente sul piano lavorativo e per quello che mi è dato sapere, dando anche spazio, laddove se ne presentasse l'opportunità, ai tanti aspetti legati alla Sua carismatica personalità.
La collaborazione di cui parlo ebbe inizio, per volontà di Monsignore stesso, il 5 luglio 1993 - all'indomani del completamento del mio ciclo di studi presso la Città dei Ragazzi di Roma - e si protrasse, ininterrottamente, fino al 9 luglio 2001: una data che noi tutti, purtroppo, conosciamo molto bene!
Non era la prima volta, e non sarebbe stata nemmeno l'ultima, che Monsignore si rivolgeva ai "Suoi" ex-cittadini per offrire loro la possibilità di collaborare al Suo grande progetto. Io stesso ricordo molte circostanze in cui gli ex-cittadini hanno prestato la loro collaborazione, sia in ambito educativo, come assistenti e animatori, che come allenatori delle squadre della nostra Unione Sportiva. Ma ricordo anche frequenti collaborazioni, a medio e lungo termine, a stretto contatto con Monsignore per le faccende legate al Suo lavoro in ufficio.
A tal riguardo, ritengo, senza presunzione, di poter spiegare il comportamento di Monsignore in base a questa semplice considerazione: Egli, soprattutto nei panni di Sacerdote, mentre intendeva offrire ancora un prezioso e valido aiuto ai ragazzi appena usciti dalla Città dei Ragazzi, allo stesso tempo, comprendeva bene quanto fosse importante il contributo di coloro, i quali avevano vissuto personalmente il sistema pedagogico dell'Autogoverno nelle comunità da Lui fondate.
Venne il mio momento! Monsignore, che ben conosceva qualche mio pregio ma soprattutto i miei non pochi difetti, decise di farmi collaborare con Lui, in particolare per il contributo che avrei potuto dare dal punto di vista informatico al lavoro che Egli conduceva nel Suo ufficio: la cosa ha parzialmente coinciso con le dimissioni di Salvatore Dell'Appennino, anch'egli ex-cittadino e, fino a quel momento, stretto collaboratore del Fondatore, scomparso, purtroppo, qualche anno più tardi, a causa di un male incurabile. In tale circostanza, venivo chiamato a ricoprire parte delle mansioni e degli incarichi svolti fino a quel momento da Salvatore, più altri che Monsignore aveva pensato esclusivamente per me.
Iniziava così una nuova collaborazione a carattere "personale" nel periodo di tempo in cui, lo ricordiamo, la Presidenza dell'Opera Nazionale per le Città dei Ragazzi era affidata al Fratello Patrick Sean Moffett della Congregazione dei Fratelli Cristiani.
La prima cosa che mi domandai, immediatamente dopo aver accettato la proposta di Monsignore, fu "chi o che cosa me lo avesse fatto fare!". Il quesito me lo posero anche altre persone che ben comprendevano l'enorme peso di questa collaborazione. Decisi di non dare importanza a questo aspetto, poiché dopotutto ero stato "cittadino" della Città dei Ragazzi per ben otto anni. Conoscevo bene Monsignore, di cosa avrei mai dovuto preoccuparmi?
Monsignore, che all'epoca aveva già 81 anni, come mai si direbbe in questi casi, "aveva ancora tutta una vita davanti"! Egli mi aveva incaricato di provvedere ad una nuova archiviazione in formato elettronico di tutti i libri, le riviste e i fascicoli conservati "gelosamente" nella biblioteca e in molte altre stanze della "Villetta": la stessa che, otto anni più tardi, lo avrebbe accolto per i suoi ultimi giorni di vita terrena. Un lavoro in apparenza semplice, e semmai monotono, si prospettava, ma questa prima ingenua sensazione lasciò presto il campo alla più "vera" realtà. Il mio incarico prevedeva sì una catalogazione in formato elettronico ma non secondo i miei criteri, o quelli che chiunque altro, in una circostanza del genere, avrebbe adottato! Si trattava di farlo secondo i criteri "unici" di Monsignore. Beh, a dire la verità, io ancora oggi questi criteri, ad oltre due anni dalla Sua scomparsa, non li ho del tutto capiti! Un'ammissione pesante da parte mia, ma, senza per questo cercare scuse, avrei sfidato chiunque, all'epoca, a cercare di capire cosa "frullasse" nella testa di Monsignore.
Passarono i mesi e, ben presto, si aprirono e svilupparono nuovi fronti di lavoro: le cose da fare erano sempre tante e si intrecciavano inesorabilmente tra le tre diverse e importanti Fondazioni di Monsignore: l'Opera Nazionale per le Città dei Ragazzi (già Opera per il Ragazzo della Strada, fondata nel 1945); l'Istituto Internazionale per lo Studio dei Problemi della Gioventù Contemporanea, costituito nel 1969; la Boys' Towns of Italy, Inc., l'ente di beneficenza americano fondato a New York nel 1951. E' in questa fase che vide la luce la nuova edizione del Notiziario per gli "Ex" e il conseguente nuovo trattamento elettronico dei dati anagrafici degli ex-cittadini, in stretta collaborazione con Nicoletta Romoli, da molti anni segretaria di Monsignore. Parallelamente a questo lavoro, Nicoletta ed io portavamo avanti anche una intensa e proficua collaborazione con il Comitato Nazionale Ex-Cittadini della Città dei Ragazzi di Roma, oggi A.I.Ex.
Ma il desiderio di scrivere questo articolo non parte dalla necessità mia personale di spiegare dettagliatamente in cosa consisteva il "nostro" lavoro, quanto, invece, come Monsignore stesso affrontasse quotidianamente il Suo di lavoro. Molte volte, in chiesa, nelle intenzioni personali pronunciate a voce alta dai ragazzi durante la Preghiera dei Fedeli, abbiamo sentito la frase "Per Monsignore e il Suo lavoro…", specialmente quando lo stesso si trovava in viaggio all'estero per molto tempo. Ma quale era veramente il lavoro di Monsignore? Come riusciva quest'uomo ad essere iperattivo sempre e comunque?
La domanda, all'apparenza difficile, trova subito una immediata e semplice risposta. Monsignore non divideva mai la sfera legata alla Sua vita lavorativa (pubblica) da quella strettamente personale (privata). Sembrava, quasi, che Egli non avesse una vita privata. A qualsiasi ora del giorno o della notte, Monsignore era sempre con la mente rivolta alle comunità dei "Suoi" ragazzi. Per rafforzare questa mia affermazione, vorrei portare tutti i lettori a conoscenza di un piccolo aneddoto. Molto spesso la mattina alle ore 9,00, quando mi presentavo nel Suo ufficio per accordarmi sul lavoro che c'era da fare, Monsignore mi consegnava degli appunti scritti di Suo pugno sulla scatola di qualche medicinale, scusandosi per il supporto improprio e spiegandomi che quelle idee, sopravvenutegli durante la notte, non avrebbero potuto aspettare il giorno seguente per essere appuntate.
Mentre, un altro fatto, sempre legato a questo aspetto, riguarda i frequenti viaggi di Monsignore negli Stati Uniti, dove si recava per assicurare la sopravvivenza di tutte le Sue fondazioni. Come molti sanno, il fuso orario esistente tra Roma e New York prevede una differenza di circa 6 ore. Beh, difficilmente abbiamo visto Monsignore andarsi a riposare subito dopo il rientro da un viaggio che lo riportava dall'America in Italia! Chiunque lo avrebbe fatto: Lui no!
Ma come dicevo la mia collaborazione si svolgeva fondamentalmente in ufficio. E nel lavoro d'ufficio Monsignore "imponeva" una seria e scrupolosa disciplina. Egli per nulla gradiva che si perdesse tempo a chiacchierare con il rischio - molto probabile - che si svolgesse un qualsiasi tipo di lavoro in modo impreciso e superficiale. Qualche volta - più spesso per la verità! - dopo avermi rimproverato (e chiunque abbia conosciuto, anche per poco, Monsignore sa bene di quale rimproveri io stia parlando!) per essermi distratto troppo a lungo a parlare con altri collaboratori o con i "cittadini" che periodicamente ci davano una mano, mi accennava alla Sua amicizia con il grande e famosissimo Walt Disney: mi spiegava come anche quest'ultimo, nel suo lavoro, amasse poco l'approssimazione. Beh, onestamente, qualche volta, mi sembrava assai esagerato questo regime di lavoro ma debbo anche dire che Monsignore di lavoro da fare ne aveva sempre tanto, a cominciare dalle migliaia di lettere che Lui scriveva e riceveva quotidianamente.
Ecco, al primo posto sulla montagna di impegni che giornalmente Monsignore era chiamato a svolgere, vi era senza dubbio quello della corrispondenza. Egli, nell'era di Internet e di tutte le altre diavolerie informatiche, continuava sistematicamente ad utilizzare i sistemi tradizionali di comunicazione, fatta eccezione per il Fax, favorendo così, con tutti i Suoi interlocutori, fossero essi i benefattori americani o i Suoi ex-cittadini, uno scambio epistolare basato su un rapporto umano e del tutto personale. Se in qualche raro caso egli si veniva a trovare in una situazione di quasi relax, la Sua creatività e volontà di fare, lo portavano sempre ad inventare cose nuove.
Ma diversamente da quello che chiunque potrebbe immaginare, l'atmosfera che si viveva in ufficio con Monsignore non era quella che si sarebbe vissuta, alle stesse condizioni, in un qualsiasi altro ufficio. La presenza dei tanti ragazzi - i "cittadini" - che a seconda dell'orario, e compatibilmente con gli impegni legati alla scuola e alla vita cittadina, venivano di volta in volta a vedere la televisione, o a leggere i giornali o a domandare qualunque cosa gli passasse per la testa, rendeva quel luogo estremamente speciale, a volte caotico e quasi irreale. E Monsignore, molto spesso, si serviva della collaborazione di questi ragazzi magari per piegare qualche lettera, chiudere le buste o affrancarle. E alla sera lo stesso ufficio, oltre a offrire, come sempre, la possibilità di vedere la TV, diveniva il luogo in cui giocare avvincenti partite a "scala quaranta", che, se non vinceva Monsignore, diventavano a volte davvero interminabili!
Ma Monsignore, quasi quotidianamente, era anche impegnato per accogliere in visita alla Città dei Ragazzi i cosiddetti "ospiti", ovvero i numerosi benefattori americani che avevano manifestato il desiderio di conoscere la nostra "Città". Il "giro" (tour), quasi sempre lo stesso, iniziava da Città Giardino, dove gli ospiti apponevano la propria firma su di un apposito registro, per proseguire verso Città Industriale, passando davanti alla riproduzione in ceramica della mappa della Città dei Ragazzi, prima di visitare il Centro Computer, la Chiesa, l'Assemblea, i Laboratori e, infine, la Pinacoteca, per poi recarsi nel Ristorante Cittadino dove veniva servito un buon pranzo, dal menu solitamente fisso, in compagnia di tutti i "cittadini".
E con i "cittadini" Monsignore, abitualmente, consumava il Suo pasto, a pranzo come a cena: un pasto semplice, "quello che mangiavano tutti!". Di solito, Egli entrava nel Ristorante con un po' di minuti di ritardo poiché si intratteneva alla Sua scrivania a ricontrollare o a firmare qualche ultima lettera. Tutti gli "ex" ricorderanno come Monsignore, senza nessuna preferenza, avvicinatosi ad un tavolo, domandava: "C'è un posticino?". Qualche volta il "posticino" per Lui di fatto non c'era, ma chi mai dei presenti avrebbe negato un posto a Monsignore? Così il quarto commensale di turno, magari perché era giunto in ritardo o semplicemente perché si era alzato per chiedere qualcosa, all'insaputa di Monsignore, perdeva il posto a quel tavolo ed era costretto a cercarsene un altro.
E tra le mille cose da fare, il "Capo", un appellativo che alla "Città" tutti Gli riconoscevano, trovava sempre il tempo di scambiare due chiacchiere con i numerosi ex-cittadini venuti a salutarlo. Era assai difficile, infatti, se non impossibile, che Monsignore rifiutasse o concedesse poco tempo alle visite dei Suoi "ex". In questi incontri, come in quelli con i "cittadini", Monsignore dava il meglio di sé, dimostrando di possedere una sensibilità fuori dal normale. Nulla, di ciò che accadeva, poteva sfuggire al Suo occhio vigile anche quando sembrava preso da altri impellenti impegni.
Non riuscirò mai a comprendere pienamente dove quest'uomo trovasse la forza per fare tutto quello che ha fatto e nel modo, e con la costanza e l'abnegazione, con cui lo ha fatto. Beh, qualcuno potrebbe obiettare: "Era un sacerdote! Chi vuoi che lo spingesse a fare del bene?". Si, certo, la fede ha dato a Monsignore una forte spinta per fare tutto questo. Ma c'è sicuramente dell'altro. Forse, Monsignore stesso può aiutarci a capire cosa lo abbia spinto a condurre una vita di sacrificio a favore del prossimo.
Lui, ancora una volta, anche in questa circostanza, avrebbe detto: "Vedi caro… il Segreto è l'Amore!".
Roma, 13/04/2003