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Nel 60° anniversario dalla posa della prima pietra della Città dei Ragazzi di Roma
SESSANT'ANNI FA
di Roberto Cosentino (roberto.cosentino@aiex.it)
Parlare della Città dei Ragazzi, per molti di noi ex-cittadini, equivale ad illustrare il prologo della propria vita, quel momento particolare della propria, giovanissima esistenza quando già ti era stato tolto più di quanto ti fosse stato concesso.
In quel momento si spalancava la porta della speranza ed appariva la figura di Carroll-Abbing, il nostro Monsignore, con la sua umanità e con la determinazione, la bontà e la grandezza del più tenero dei genitori.
I nostri papà e le nostre mamme biologici ci avevano donato la vita, lui si apprestava a modellarla, aggiustarla, plasmarla, nella più appassionata, competente ed entusiasmante opera che un uomo possa mettere in pratica e a renderla matura per una esistenza che fosse sempre ispirata alla grandezza della grazia di Dio.
La sua Città dei Ragazzi, quel fantastico frutto di un sogno, quel misto di indipendenza e tolleranza, di libertà e raziocinio, di equilibrio e sfrontatezza, non poteva che illuminare il mondo e rendere all’umanità un servizio mai troppo riconosciuto e celebrato.
Ma Monsignore non ha bisogno di ulteriori riconoscimenti se non quelli dell’anima dei suoi ragazzi, quei ragazzi vissuti nell’intraprendenza del suo autogoverno, l’intuizione più grande e la sfida più temeraria che avesse potuto affrontare.
Eravamo alla Città dei Ragazzi pronti ad essere complici partecipi, non passivi, di quell’opera; ognuno di noi prendeva il proprio pezzetto di storia sulle spalle e cominciava a camminare con la serenità e l’irriverenza dell’età. Lui era lì a vagliare, a correggere, a distinguere, a consigliare, indirizzare, senza mai intromettersi, quasi nascosto agli occhi di tutti, quasi a non voler lasciare traccia della sua presenza, donandoci la consapevolezza di esser riuscito a raggiungere traguardi importanti senza l’aiuto di nessuno.
Qualche volta, è vero, le sue parole, le sue esternazioni piccate, ci scuotevano e ci costringevano a ridestarci da improvvisi atteggiamenti negativi di apatia, ma non erano mai schiaffi, mai pugni in faccia, solo carezze, tenere carezze.
La Città dei Ragazzi di Roma, nata sessant’anni fa, con la posa della prima pietra, era dunque la fine della impalpabilità, della evanescente metodologia di insegnamento del vivere comune dei ragazzi, dell’accettazione delle diversità di religione, razza e convinzioni personali; era la nuova frontiera del rispetto assoluto degli altri "io".
Ed il cammino è stato lungo, impervio, quasi impossibile, a volte inumano, ma mai una volta i ragazzi, i vari Claudio, Silvestro, Pietro, Roberto, Franco, si sono sentiti soli, abbandonati, mai hanno notato segni di cedimento nella figura minuta eppure così maestosa del loro Monsignore. Anzi, le difficoltà non hanno fatto altro che accrescerne la tempra, la tenacia e la caparbietà nell’elaborare percorsi e nel raggiungere traguardi.
Quell’uomo minuto, che ti sfiorava con le carezze, con il suo consueto pugno chiuso sul petto, con il bacio della buonanotte, immancabile, ogni sera, ogni santa sera! Lui che poco prima aveva avuto a che fare con i "più grandi della terra", guardandoli negli occhi con fierezza e determinazione e ottenendo gratificazioni, naturalmente solo e soltanto per i ragazzi, perché nulla poteva mai distoglierne i pensieri dal bene assoluto per i suoi cittadini.
Ieri, come sessant’anni fa, ricorreva la festa di S. Francesco che con la sua grazia, la forza e la beatitudine della sua vita, è stato il punto di riferimento di Monsignore. Il Santo, ne siamo certi, ha vegliato sull’Opera e su tutto il percorso terreno del nostro Padre che ha portato amore e speranza laddove vi era pianto e disperazione.
Tanti uomini oggi, tornando indietro con il pensiero, rivivendo la fanciullezza, esprimono con un sorriso la loro gratitudine alla Città dei Ragazzi, quel luogo, citando i passi del fondatore, ove i diritti e i doveri innati e la missione affidata da Dio a ogni ragazzo nella società sono stati rispettati; una comunità dove i giovani hanno imparato la difficile arte del vivere insieme in libertà, in mutua tolleranza, in pace; un luogo sereno dove ogni ragazzo ha trovato comprensione per le sue difficoltà e incoraggiamento nello sforzo di elevarsi; un luogo dove il giovane, spronato a sviluppare le proprie qualità, ha potuto progredire; un luogo in cui lo scopo finale è stato quello di aiutare ogni ragazzo a trovare il suo giusto posto nella società secondo il piano di Dio.
Vogliamo ricordare e vivere questo momento di festa che si propone di celebrare un grande evento nella casa ove sono stati accolti Pontefici e Presidenti, artisti e sportivi, principi e principesse e celebrità d’ogni genere. Soprattutto ove sono stati accolti molti giovani che non avevano mai conosciuto la dolcezza del sorriso di qualcuno che li amasse e dove una travolgente storia li ha visti protagonisti.
Vogliamo celebrare la Città dei Ragazzi di Roma, edificata per l’ardore della vita di migliaia di giovani, per la realizzazione delle loro aspettative, celebrando altresì tutti coloro che hanno collaborato affinché tutto ciò si realizzasse.
Vogliamo immaginare che fra altri sessant’anni qualcuno sia ancora qui a parlare di questo sogno, di quest’opera e che i ricordi non si affievoliscano, non si sbiadiscano con il trascorrere del tempo ma restino vivi e possano raccontare al mondo quanto grande sia stato il bene consegnato, dall’interno di questi confini, all’umanità.
E infine vogliamo ricordare te, Monsignore, che te ne sei andato per questo mondo, ma non per il tuo mondo né per quelle cose che appartengono a noi tutti, quelle cose grandi che hai costruito utilizzando le nostre anime e le nostre vite come mattoni di una struttura solidissima, cose grandi come le stelle del firmamento che hai voluto un giorno si accendessero per ogni lacrima asciugata dal volto di un bimbo.
Te ne sei andato per la notte ed il giorno, per il sole e la luna, ma non temere, la luna, le stelle ed il sole, l’aria ed il cielo azzurro ti accarezzano sempre e ti proteggono, come tu hai fatto con noi, mentre riposi là nell’aiuola, accanto alla tua Chiesa.
Roma, 05/10/2013